Fare il deserto: incontrare Dio nel silenzio e nella solitudine!

gesu-deserto

In occasione della Quaresima ripubblicò questo post che riassume il mio pensiero relativamente a questo importante periodo: un’occasione per “fare il deserto” e rimanere soli nella propria intimità in ascolto della divinità!

Con il Mercoledì delle Ceneri inizia il tempo della Quaresima, un tempo in cui l’uomo dovrebbe impegnarsi a fare il deserto in sé stesso per entrare nel silenzio! Nel libro del Qoelet c’è scritto: “C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere”, perché nell’esprimere la propria sapienza l’uomo deve poi essere illuminato dalla grazia e creare così un equilibrio in vista dell’unità tra uomo e Dio! Ci sono teologi che dicono che la Bibbia è il libro del silenzio di Dio perché è nel silenzio che la Parola deve essere ascoltata nell’anima.

Nella Bibbia la permanenza nel deserto e il silenzio a questo collegato segnano prima il rapporto tra Dio e il popolo d’Israele, successivamente le tentazioni a cui Satana sottopone Gesù. Da sempre l’uomo ha avuto paura del silenzio cercando in ogni modo di fuggire da esso. Perché chi ha paura di sé stesso cerca la folla e il rumore per mettere a tacere i suoi fantasmi altrimenti fin troppo reali e inquietanti. Gesù invece è andato incontro al silenzio e si è confrontato con le tentazioni preparandosi così ad affrontare la vita e la missione a cui era destinato. L’uomo che ha compreso il senso della vita deve anche lui andare oltre la dimensione delle parole per confrontarsi con il silenzio.

Dal silenzio che precedette la creazione al silenzio come condizione umana per generare parole e relazioni interpersonali: è un momento importante che diventa condizione per riprendere a comunicare. La Bibbia infatti dice che nel deserto si può rimanere soltanto 40 anni o 40 giorni, cioè un tempo più o meno lungo, ma non certamente l’intero arco della vita dato che ogni uomo nasce in relazione con altri uomini. Eppure è nel silenzio che si genera l’incontro radicale con la solitudine che coincide con il mistero personale dell’uomo. Ognuno è un mistero segreto e personale, unico e irripetibile,  una monade senza porte o finestre direbbe il filosofo Leibniz. Provare questa solitudine assoluta generata dal silenzio ci porta però alla consapevolezza della nostra contingenza, del nostro non bastare a noi stessi, del nostro infinito bisogno d’Amore! Non ci sono appigli umani in grado di salvarci nelle prove della vita e arriverà un giorno, in ogni caso l’ultimo giorno, in cui ci troveremo faccia a faccia  e soli con LUI, unica pienezza in grado di colmare i nostri infiniti vuoti. Per questo motivo non dovremmo mai fuggire dal silenzio e dalla solitudine, perché entrambi queste dimensioni spirituali ci permettono di percepire già ora la Presenza in grado di colmare la sete d’infinito: nella solitudine, dove nessun altro uomo può sentire o arrivare, siamo in realtà sempre in due.

*il post era stato pubblicato Qui!

Autore: opinioniweb - Roberto Nicolini

Sono un insegnante di religione di scuola primaria dal 1996. Nonostante tutto il dato di "fede" non ha mai prevalso sulla ricerca della verità. Del resto è l'unica cosa che al di là dei limiti oggettivi della nostra vita ci rende effettivamente liberi e quindi ci avvicina a Dio, in qualunque modo Esso si manifesti!

24 pensieri riguardo “Fare il deserto: incontrare Dio nel silenzio e nella solitudine!”

  1. il fatto che per trovare più facilmente quell’esperienza che chiamano Dio ci si debba isolare in un deserto e in noi stessi, mostra chiaramente che dio altro non è che il nostro Io che si rispecchia in se stesso…

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    1. Ma l’esperienza del deserto è un atteggiamento di ascolto, non di chiusura. La tua concezione di Dio ricade i parte in quella dell’idealismo: parlando del rapporto tra finito e infinito esso smarrisce la nozione di differenza tra una realtà condizionata (quella umana) e un fondamento incondizionato (Dio) e le identifica. Ora il problema è come sia possibile concepire Dio contemporaneamente trascendente e personale. E la tua ragione, che pone l’io di fronte a sé stesso, è anche la fonte della costituzione del mondo in senso assoluto? O è solo la ri-scoperta di una solitudine esistenziale?

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      1. sono stato alcune volte nel deserto: era il Marocco, era l’Egitto, era la Siria, era la Tunisia.

        non era mai completamente il deserto: fosse uno stentato filo d’erba o il beduino che compariva da dietro la duna; fossero soltanto le stelle luminosissime e vive nella volta notturna, non sono mai riuscito ad essere completamente solo.

        quindi questo deserto di cui si parla è una astrazione.

        del resto proprio il racconto di Gesù nel deserto che citi dimostra che proprio solo con se stesso lui vede sorgere le tentazioni diaboliche, e io penso che in questo ci sia molta più saggezza che nei racconti degli eremiti cristiani, a cui del resto capitava la stessa cosa; vedi le tentazioni diaboliche che li perseguitano.

        io non credo al fondamento ontologico incondizionato della realtà e per due motivi opposti ma confluenti: 1. la realtà non ha nessun bisogno di un fondamento esterno (non sarebbe più la realtà se avesse questo bisogno), 2. e comunque non lo ha, perché è effimera.

        la realtà, di sua natura effimera, non ha fondamenti ontologici che ne negherebbero la natura, e per questo non ne ha neppure bisogno.

        chi attribuisce alla realtà questo fondamento, in realtà nega il suo carattere transitorio, lo rifiuta, in poche parole ha paura della realtà e la nega nella sua vera natura, creandosi l’immagine puramente mentale e sbagliata di una realtà solida e potenzialmente immortale.

        molti guai pericolosissimi derivano da questa deformazione mentale, che è in fondo la radice ultima dello spirito animale capitalistico.

        questa visione la vuoi definire esistenziale? non mi dispiace il nome, visto che cerca di guardare all’esistenza per quello che è davvero. ma non accetto che questo esistenzialismo sia definito solitudine, visto che la condizione esistenziale umana è comune e anzi la ritengo il terreno del riconoscimento di una solidarietà comune (Leopardi, La ginestra).

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      2. In effetti io sono parmenideo, per me ” l’Essere è e non può non essere” e l’esistenza di una realtà senza fondamento in sé stessa la considero una contraddizione! Semplicemente ciò che è transitorio NON ESISTE! Eppure nella dimensione lineare-temporale ogni cosa che è si colloca nello spaziotempo in cui è emersa dal nulla! E già questo “collocarsi” è una dimensione che per me va molto al di là dell’effimero, è qualcosa che connota ciò che è come Essere distinto dal non-Essere! Certo nulla di ciò che esiste ha un fondamento in sé stesso e il deserto come il mio modo di concepire Dio è sempre dialogico, o meglio trinitario: ognuno si costituisce in dialogo con un Tu, Dio stesso nella sua dimensione trinitaria è il “trascendente sé stesso” e genera la creazione attraverso il più potente motore universale, l’Amore! Che per me prevale sempre sul nulla, sostiene l’effimero e lo rende degno di essere, di esistere. Ma questa è solo la mia concezione filosofico religiosa del mondo, non posso far altro che chiudere il (mio) Dio in una scatola e sperare che davvero non mi lasci mai solo.

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      3. in effetti siamo agli antipodi anche filosoficamente.
        la distinzione essere – non essere è un semplice artificio sofistico.
        Parmenide si è fidato di un gioco di parole troppo semplice e non ha capito che l’Essere non è e il non essere è.
        ma meglio ancora è fare riferimento al pensiero filosofico indiano dove essere e divenire sono un unico verbo; e qui la filosofia parmenidea, fondamento dell’arroganza occidentale, crolla del tutto.
        tutto ciò che vive si auto-crea: la vita è un processo di auto-creazione: difficile da accettare, ma perfino da capire, per un occidentale parmenideo.

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    2. La meditazione e quindi la (eventuale ) trascendenza “parte dall interno per proiettarsi nello “spazio “Questo per coloro che credono in “qualcosa “altrimenti e’ Solo! ? chimica della meraviglia che è il cervello. …umano!

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    1. Marzia, sono appena tornato dalla campagna dove ho un piccolo terreno isolato in una vallata poco antropizzata. Capisco quello che provi e dici, a me aiuta molto rifugiarmi in campagna, altri però rifuggono il silenzio esteriore e inseguono la frenesia della società contemporanea. Speriamo che la collettività trovi una dimensione intermedia, un giusto compromesso fra il silenzio e il rumore, tra il vivere schiacciati da una routine impersonale e il vivere in una dimensione autenticamente umana. Ciao

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