La sublimazione dell’amore illumina i suoi fenomeni con maggiore chiarezza della stessa esperienza. Ci sono verginità di grande comprensione. Agire compensa ma confonde. Possedere significa essere posseduto e dunque perdersi. Soltanto l’idea raggiunge, senza sciuparsi, la conoscenza della realtà.
Tratto da Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine, Feltrinelli
Un grande maestro della fantasia, indimenticabile la sua capacità di insegnare “divertendo” qualsiasi argomento, anche i più difficili! Ho dedicato a lui numerosi post pubblicando alcune delle sue più belle filastrocche, qui voglio ricordarlo ancora una volta nel giorno dell’anniversario della sua morte, così vicino alla Pasqua di resurrezione: aiutaci dal cielo a non dimenticare la bellezza dell’essere bambini, perché solo così è possibile che dopo ogni sofferenza – che attraversi l’individuo o il mondo intero poco importa- l’umanità abbia sempre la forza di ri-sorgere!
Per fare un vestito ad Arlecchino ci mise una toppa Meneghino, ne mise un’altra Pulcinella, una Gianduja, una Brighella.
Pantalone, vecchio pidocchio, ci mise uno strappo sul ginocchio, e Stenterello, largo di mano qualche macchia di vino toscano.
Colombina che lo cucì fece un vestito stretto così. Arlecchino lo mise lo stesso ma ci stava un tantino perplesso.
Disse allora Balanzone, bolognese dottorone: “Ti assicuro e te lo giuro che ti andrà bene li mese venturo se osserverai la mia ricetta: un giorno digiuno e l’altro bolletta!”.
Una volta un dromedario, incontrando un cammello, gli disse: – Ti compiango, carissimo fratello; saresti un dromedario magnifico anche tu se solo non avessi quella brutta gobba in più.
Il cammello gli rispose: – Mi hai rubato la parola. E’ una sfortuna per te avere una gobba sola. Ti manca poco ad essere un cammello perfetto: con te la natura ha sbagliato per difetto.
La bizzarra querela durò tutto una mattina. In un canto ad ascoltare stava un vecchio beduino e tra sé, intanto, pensava: “Poveretti tutti e due, ognun trova belle soltanto le gobbe sue. Così spesso ragiona al mondo tanta gente che trova sbagliato ciò che è solo differente!”
G.Rodari, Il libro delle filastrocche, Toscana nuova
Luca 6,37-38
«Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato. Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi»
Poesia di padre Turoldo, tratta da Anche Dio è infelice, ed. Piemme
Ragione
è necessitata a credere
ma prodigio ancora più grande
è credere
Poesia di padre Turoldo, tratta da Anche Dio è infelice, ed. Piemme
Padre Turoldo affermava che la libertà dell’uomo è un limite di Dio, ciò significa che la nostra libertà è alla base della stessa creazione. Quindi il mondo è mondo proprio per il gioco tremendo delle libertà e solo il misterioso agire della provvidenza rende possibile realizzare il bene anche dal male. La provvidenza è un argine, ma al contempo non è il limite al nostro agire che si mantiene libero.
Il male invece è limite, schiavitù, oppressione, esso è opera dell’uomo e si manifesta ogni volta che i nostri orgogli e le nostre avidità scavano una fossa invalicabile, un grande abisso che è capace di inglobare tutto e tutti. Per questo la storia cade ciclicamente nella disperazione, per questo sempre nuove nubi si scorgono all’orizzonte. Il grande abisso è sempre lì, fa parte del gioco delle libertà. Dobbiamo accorgerci in tempo che abbiamo dei fratelli, capire che rinunciare ad amare significa rinunciare alla salvezza. Avere fede, credere, questo si che è un atto rivoluzionario, forse l’unico capace di modificare il divenire, sia quello personale, sia quello della storia dell’uomo…
Venuto da molto lontano A convertire bestie e gente Non si può dire non sia servito a niente Perché prese la terra per mano Vestito di sabbia e di bianco Alcuni lo dissero santo Per altri ebbe meno virtù Si faceva chiamare Gesù Non intendo cantare la gloria Né invocare la grazia e il perdono Di chi penso non fu altri che un uomo Come Dio passato alla storia Ma inumano è pur sempre l’amore Di chi rantola senza rancore Perdonando con l’ultima voce Chi lo uccide fra le braccia di una croce E per quelli che l’ebbero odiato Nel Getzemani pianse l’addio Come per chi l’adorò come Dio Che gli disse sia sempre lodato Per chi gli portò in dono alla fine Una lacrima o una treccia di spine Accettando ad estremo saluto La preghiera l’insulto e lo sputo E morì come tutti si muore Come tutti cambiando colore Non si può dire non sia servito a molto Perché il male dalla terra non fu tolto Ebbe forse un pò troppe virtù Ebbe un nome ed un volto: Gesù Di Maria dicono fosse il figlio Sulla croce sbiancò come un giglio
Breve commento personale
De André pare che fosse ateo, sinceramente non so se durante la sua vita avesse mai cambiato questa posizione. Però questa canzone lascia comunque spazio alla grandiosità della figura di Cristo. <<…non fu altri che uomo, come Dio passato alla storia ma inumano è pur sempre l’amore di che rantola senza rancore perdonando con l’ultima voce chi lo uccide fra le braccia di una croce>>. Inumano o divino o superiore è la grandiosità di chi perdona ciò che altrimenti sarebbe imperdonabile! Cristo che pianse per l’intera umanità un male che continua a flagellare la terra, un male che è radicato nel cuore dell’uomo. Ma far spazio all’amore è diventato possibile attraverso un Dio che è nato nel mondo per convertire il cuore di tutti. Questa è la porta che Cristo ha aperto nella storia e che nessun male potrà mai richiudere.
La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi lo spiedo scoppiettando: sta il cacciator fischiando sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar.
Giosuè Carducci
La poesia di Carducci ha questo titolo perché il giorno di Martino cade l’11 novembre, data in cui in Italia si festeggia la maturazione del vino, a cui si fa riferimento nel poema.
La malattia dell’anima è tornata pervade, distrugge, amplifica il dolore dell’intera umanità!
Si nutre d’odio e divisioni mistifica i fatti altera le percezioni il suo è un marchio di sangue dall’origine dei tempi.
Vedete il vento, la furia, l’ondata che avanza schiacciando ogni cosa?
Vedete il male, il vero male mostrarsi gagliardo fra gli uomini?
Ride in faccia agli allibiti si rivolta violento tra i fratelli serpe velenosa pronta a mordere.
Non lo facciamo ancora, vi prego… Non lo facciamo! Il suo fascino è un vestito di cartapesta a coprire marciume ripugnante privo di ogni pietà.
I buoni che coltivano odio sono il frutto della paura, le miriadi di cose inutili che riempiono la vita di un vuoto assordante verranno spazzate via da un vento implacabile, lindo il cielo forse le rime della storia possono ancora cambiare.
Ho rotto quel legame di dolore l’ho perso stringe ancora ma l’ho perso!
Dove sei, dove sei andata? Dove sei?
Le nostre vite frammentate dal tempo ci dividono il cielo è una metafora la terra un non luogo dove mettere in scena la vita.
Vacilliamo sull’abisso davanti all’infinito; scintille al tramonto assorbite dal Sole, coscienze assopite dall’inganno della morte questa realtà crea muri di niente.
Non siamo soli c’è il vuoto intorno a noi. Non siamo soli ciechi nella luce. Non siamo soli nel sonno senza sogni ci ritroveremo accanto.