Vangelo-decalogo di Noam Chomsky

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Da Pixabay

 

Post di Stefano

Senza voler essere blasfemo, credo che il decalogo stilato dall’immenso Noam Chomsky sia da imparare a memoria e da tener sempre presente in ogni istante della nostra vita. Ci aiuterebbe a difenderci dagli inevitabili inganni che ci vengono perennemente somministrati dai nostri carcerieri. Eccolo qua, con un piccolo commento personale, per ogni punto di seguito evidenziato:

Le dieci regole per il controllo sociale di Noam Chomsky:

1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti (fuorvianti)
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali.

Mi viene da pensare, ma è solo un esempio, alla questione inerente la teoria gender e l’omofobia che puntualmente torna in auge quando arriva qualche fregatura dalleuropah.

2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

State molto attenti all’attuale crisi pandemica!

3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

Questo è il famoso principio della “rana bollita”.

4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

Notate la gradualità con cui prolungano la quarantena: ogni volta mancano solo 2 settimane alla fine dell’emergenza, ogni volta…

5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno.

Per esempio: se il problema per il contagio è lo stare vicini ad altri, sono gli assembramenti, perché vietare le passeggiate in solitudine? Perché trattarci come imbecilli? E quel che è peggio è che la maggioranza è d’accordo con pareri del tipo: “visto che gli italiani sono degli irresponsabili” ,“per colpa di qualcuno tocca sacrificarsi tutti.”

6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti…

Basta guardare ogni telegiornale mainstream. Ogni trasmissione di intrattenimento lacrimevole.

7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori.

La televisione, dai primi anni ‘80 in poi si è impoverita di contenuti, la cultura è relegata ad orari assurdi od a canali non facilmente accessibili.

8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti…

Guardate le trasmissioni pomeridiane “mariadefilippiche”, i talent show ed i reality show.

9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

Abbiamo vissuto al disopra delle nostre possibilità… i nostri debiti li dovranno ripagare i nostri figli…

10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su se stessa.

Se poi ci aggiungiamo tutta la privacy che cediamo nei social e con l’uso dello smartphone… con le televisioni “smart” e con gli aggeggi che rispondono ai nostri comandi come “alexa” e che puntualmente registrano tutto della nostra vita.

Che sono poi le stesse strategie usate anche per “preparare” i prigionieri agli interrogatori. Ci vogliono rendere persone con bassissima autostima e disposti a rinunciare a tutto in cambio di sicurezza.

Storia o storie?

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foto da pixabay

Post di Stefano

Ho sempre studiato poco la storia e me ne pento! Veramente ho sempre studiato TUTTO poco, ma la carenza di storia, attualmente, è quella che mi pesa di più. C’è da dire però che quello che ci raccontano riguardo la storia antica è quantomeno singolare. La storia, si dice, inizia da quando si è cominciato a scrivere, quindi da quando gli avvenimenti sono documentati, grosso modo 5000 anni fa. Tutto il precedente è preistoria: quella degli uomini primitivi nelle caverne, con la clava. Poco più delle bestie insomma, unica differenza: la clava! Però… c’è un però. Anzi più di uno, ma parliamo di quello. Ricordo che, subito dopo i primitivi, si comincia a studiare gli Egiziani… o erano gli Assiri ed i Babilonesi? Non ricordo, ma poco importa, di sicuro gli Egiziani vengono poco dopo delle clave. Peccato che gli Egiziani abbiano costruito le piramidi. Che cosa hanno di così speciale le piramidi? Semplicemente che noi, dopo 5000 anni di evoluzione tecnica, non sapremmo costruirle di nuovo! Non ci sono grù in grado di sollevare pesi così immani. Neanche con la tecnica dei terrapieni… in nessun modo! Vi posso garantire che, se un modo ci fosse stato, qualcuno l’avrebbe fatto, magari al centro di Las Vegas, come attrazione turistica. Ma non si può! Quindi, la “vera” storia dell’umanità è che: dei selvaggi, poco dopo aver abbandonato le clave in favore dell’arco e delle frecce e forse anche prima di imparare a scrivere, una bella mattina si sono messi a costruire qualcosa che a tutt’oggi è impossibile. Ma non solo: sono allineate perfettamente con le stelle, hanno delle feritoie che lasciano entrare il sole solo in alcuni giorni speciali. Ma c’è di più: le misure sono “armonizzate” con la proporzione aurea e con il pi greco, due delle costanti più importanti della geometria. Tra l’altro numeri irrazionali e che presuppongono conoscenze matematiche non indifferenti. Le dimensioni sono proporzionali a quelle della terra stessa, il peso anche… eccetera, eccetera. Insomma, sono un condensato di sapienza infinita, un bel risultato per degli individui poco più che selvaggi! Ma c’è ancora di più: la Sfinge lì vicino presenta tracce inequivocabili di erosione da pioggia. Peccato che nel Sahara non piove da almeno 8000 anni! Non vi sembra che ci sia qualcosa che non va? Com’è da intendersi la storia dell’umanità? E’ stato calcolato che la terra ha 4,6 miliardi di anni e che per far apparire la vita ci sono voluti almeno 3 miliardi di anni. Abbiamo quindi a disposizione 1,6 miliardi di anni per arrivare all’homo sapiens-sapiens. Se questo tempo lo potessimo rapportare ad un anno, ogni giorno equivarrebbe a più di 4 milioni di anni ed ogni ora a 73000 anni. In pratica, i nostri storici si interessano agli ultimi 4 minuti e tutto quello che è avvenuto prima non conta. E si ostinano a dire che non c’è mai stata un’altra civiltà prima di questa! La possibilità temporale che ci siano state altre… tantissime civiltà, con estinzioni di massa e ripartenze, c’è. Le prove ci sono: vedi le piramidi. I miti che ne parlano… pure: Atlantide, Lemuria, Iperborea, eccetera. Quindi? Va a finire che ho fatto bene a non studiare la storia!

Oltre le strutture psichiche e sociali, all’origine della persona polo dinamico di conoscenza (seconda parte).

Non tutto è ciò che sembra!

Concludo la panoramica delle teorie sullo sviluppo umano evidenziando come in esse non ci sia mai nulla di acquisito, anche se al contempo niente viene perduto. C’è un approccio multidisciplinare e dinamico, che coinvolge il cognitivo, il sociale, il culturale, lo sviluppo del linguaggio e persino la narrativa come capacità dell’uomo di scrivere la propria storia e con essa la storia dell’ intera umanità! QUI LA PRIMA PARTE DEL POST!

Quest’ultimo aspetto è stato preso in considerazione dall’etologia. Gli etologi hanno messo insieme le componenti innate e quelle apprese, affermando che l’evoluzione implica sia un cambiamento filogenetico, sia uno ontogenetico.
L’organismo è parte di un sistema che include l’ambiente con i suoi aspetti fisici, interpersonali e culturali. Nello studio della specie umana è più produttivo applicare “il concetto di adattamento intelligente1 per vedere come i comportamenti insegnati dalla società producono un adattamento ottimale” (Patricia H. Miller 1983;1992; Charlesworth, W., 1979). La comparazione tra le culture umane ci dice che cosa è universale nonostante le differenze ambientali.
Come si può vedere dalle teorie sin qui accennate, lo sviluppo procede su diversi livelli e su molte aree di contenuto contemporaneamente. Sicuramente nessuna teoria è riuscita a districare questo complesso processo. La visione tradizionale del progresso scientifico considera la storia di una disciplina come un’impresa cumulativa. Si può trovare una continuità fra Freud ed Erikson o fra la teoria dell’apprendimento classico e la teoria dell’apprendimento sociale. Ma considerando un arco di tempo più lungo il progresso storico di queste teorie non sembra seguire questo sviluppo. Si rimane più colpiti dalla discontinuità che dalla continuità nel passare da Freud, alla teoria dell’apprendimento sociale, a Piaget…
Kuhn concepisce invece la scienza più come ciclica che cumulativa. Nelle scienze sociali non si è mai avuto un paradigma accettato da tutti gli studiosi di queste discipline. Ci sono però paradigmi ristretti a una sottoarea di campo. Dal momento che nessuna teoria spiega lo sviluppo in modo soddisfacente, diventa cruciale per gli psicologi ricavare contenuti, metodi e concetti teorici da molte teorie diverse. Tale approccio ha condotto a ricerche e a teorie su piccola scala e orientate sul problema. All’interno di quest’area problematica i concetti e i metodi che vengono selezionati dovrebbero riuscire a catturare le diverse variabili coinvolte.
Per questo motivo è interessante studiare i sistemi all’interno dei quali avvengono i comportamenti ( questo è un aspetto comune a tutte le teorie sin qui esaminate). In particolare il sistema dato dalla relazione madre-bambino, che è un sistema aperto in cui non ha senso chiedersi quale sia il punto di partenza, ma bisogna studiare come interagiscono gli elementi per formare un cambiamento nella relazione. Tale sistema è una totalità di elementi, cioè un tutto-strutturato, il modello di ricerca dinamico in cui si intrecciano natura e cultura.
Gli studi a cui mi riferisco sono quelli del Bruner relativi all’acquisizione del linguaggio, che forniscono un modello d’interazione particolarmente dinamico. . Bruner fa sua la definizione che Austin2 diede della pragmatica, come imparare a “fare le cose con le parole”(Jerome Bruner, 1983;1987; Austin 1962;1974), cioè su come ottenere un’azione comune e su come guidare un’azione comune con un’altra persona mediante l’uso del linguaggio. C’è una continuità fra l’acquisizione del linguaggio e l’acquisizione della cultura da parte del bambino. La cultura è costituita da procedure simboliche, da concetti e distinzioni che possono essere fatte solo nel linguaggio. Essa è costituita per il bambino solo nell’atto stesso dell’apprendimento del linguaggio e di conseguenza il linguaggio non può essere capito se non nel suo ambiente culturale.
Non è compito dei pragmatici: separare ciò che è innato da ciò che è acquisito, ciò che è naturale da ciò che è culturale. L’indagine verte su molteplici funzioni linguistiche fondamentali negli ambienti in cui i bambini imparano a padroneggiarle.
Il formato (veicolo per l’acquisizione del linguaggio), è una struttura d’interazione standardizzata, inizialmente microcosmica con ruoli definiti che alla fine diventano reversibili. Quando raggiunge una forma più evoluta si trasforma in “atti linguistici”.
Formati originari: scambio di oggetti, il cucù, il nascondino…sono casi tipici per la struttura delle prime forme di comunicazione. Qui le parole completano l’azione, possiedono proprietà simili al linguaggio, sono “sistemi di vita” (Jerome Bruner 1983;1987) simili al linguaggio.
Tali formati di gioco si trasferiranno poi dai luoghi originari, generalizzandosi ad attività e ad ambienti in cui prima non erano mai accorsi. Questa separabilità della forma dal contesto conferma il carattere astratto delle prime forme di comportamento dei bambini e pone in dubbio il fatto che tutte le prime forme di comportamento sociale siano egocentriche. Se i bambini fossero irreversibilmente concreti o inflessibilmente egocentrici, potrebbero apprendere il linguaggio o fare i giochi che fanno?
Il linguaggio pone inoltre il problema del riferimento ,che è qualcosa di non naturale, mentre la sua convenzionalizzazione pone un problema psicologico. Il bambino non sta a lungo nella condizione di segnalare soltanto che egli vuole, ma ben presto desidera indicare “che cosa” egli vuole(Jerome Bruner 1983;1987). Il far richieste fornisce un mezzo non solo per fare le cose con le parole, ma anche per operare nella cultura: coordinare il proprio linguaggio con le esigenze dell’azione nel mondo reale e di farlo nei modi culturalmente prescritti, che implicano persone reali. Qui gli adulti sono più interessati ai “modi” del bambino che non alla buona formazione linguistica dei suoi enunciati.
Più che sui processi cognitivi è stato messo l’accento sui processi sociali condivisi dalla comunicazione pre-linguistica e linguistica. Il principale motivo dell’acquisizione del linguaggio è costituito dalla migliore regolazione di questi processi socio-culturali profondi.
I formati sono versioni speciali di contesti preselezionati e precostituiti dalla relazione madre-bambino. Riguardo alla convenzionalizzazione, per fare indicazioni e richieste le convenzioni hanno un carattere non propriamente linguistico, quanto culturale in senso lato.
Anche Vygotskij afferma che “i bambini crescono nella vita intellettuale di coloro che li circondano” (Jerome Bruner, 2002;2006; Lev Vygotskij 1962;2001). Pensare e apprendere, dunque, sono processi intrinsecamente sociali e dinamici. Sono sociali per il fatto che avvengono in un contesto storico-sociale e ne sono da esso influenzati.
Voglio concludere questa breve sintesi relativa all’acquisizione del linguaggio e all’interazione con la cultura di appartenenza, parlando dell’importanza della narrativa. Bruner affronta la questione in un suo recente libro, “La fabbrica delle storie”, ove afferma che “la narrativa, anche quella di fantasia, dà forma alle cose del mondo reale e spesso conferisce loro addirittura un titolo alla realtà” (Jerome Bruner, 2002;2006). Sembra che sia proprio la letteratura che attraverso il linguaggio, offre mondi alternativi che gettano nuova luce sul mondo reale. Una precondizione della vita collettiva in una cultura, è proprio la nostra capacità di organizzare e comunicare l’esperienza in forma narrativa. Così è “la convenzionalizzazione della narrativa che converte l’esperienza individuale in una moneta collettiva in grado di circolare su base più ampia di quella interpersonale” (Jerome Bruner, 2002;2006). Gli studi della linguistica affermano che pensare serve a parlare, cioè che arriviamo a pensare in un certo modo per poterci esprimere nella lingua che abbiamo imparato a usare, ma ciò non significa che tutto il pensiero sia al fine esclusivo della parola. Tutto si trasforma, filtrato dal linguaggio, in “eventi verbalizzati” (Jerome Bruner, 2002;2006).
Certamente la costruzione della nostra identità può essere concepita come uno di questi eventi verbalizzati, un meta evento che offre coerenza e continuità alla confusione dell’esperienza. Possiamo affermare che esistono due mondi mentali, il paradigmatico e il narrativo, uno sottoponibile al vaglio della scienza, l’altro pieno di metafore, immagini del possibile in un mondo imperfetto.
Possiamo inoltre affermare che i bambini entrano assai presto nel mondo della narrativa. Come gli adulti sviluppano aspettative su come dovrebbe essere il mondo e sono sensibilissimi all’inaspettato. Nei loro primi giochi sono affascinati dall’imprevisto, esempio nel gioco del bubusettete. Amano la ripetizione e la ripetuta finta sorpresa dell’adulto. Queste sorprese rituali sono molto gradite, ma non quelle attinenti alla cose reali, che li spaventano moltissimo. Tutto questo fa pensare ad una precoce capacità narrativa o scenica, ancora prima dell’emergere del linguaggio. Concludo riprendendo il titolo di questa relazione, per mettere in evidenza che “oltre le strutture psichiche e sociali” la persona “scrive” la sua storia in un libro che ha come presupposto lo sfondo culturale di riferimento, lasciando però libero ognuno di farsi protagonista della propria vita, attore più o meno consapevole, in grado di creare significato e con questo di cambiare il mondo.
Riferimenti bibliografici
Patricia H. Miller (1992). Teorie dello sviluppo psicologico. Trad.it. Bologna: Il Mulino.
Jerome Bruner (1987). Il linguaggio del bambino. Come il bambino impara ad usare il linguaggio. Trad.it. Roma: Armando editore.
Jerome Bruner (2002). La fabbrica delle storie. Roma-Bari: Laterza & Figli.

1 La ricerca etologica di Charlesworth studia la funzione ed il significato etologico dell’uso spontaneo dell’intelligenza da parte del bambino

Oltre le strutture psichiche e sociali, all’origine della persona polo dinamico di conoscenza.

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Pieter Bruegel il Vecchio, La torre di Babele 1563 (fonte Wikipedia)

Nel 2011 partecipai ad una conferenza organizzata dall’università di Macerata intitolata “Professore per un giorno”, l’argomento da me trattato era la psicologia dello sviluppo da me ipoteticamente considerata un punto di partenza ottimale per lo studio della persona come “polo dinamico di conoscenza”. Quella che segue è solo una breve panoramica delle principali teorie dell’età evolutiva con una conclusione che fa riferimento alla psicologia cognitivista e culturale di Jerome Bruner. L’articolo è suddiviso in due parti vista la densità dei contenuti e questi sono i priuncipali punti d’interesse:

  • La persona come realtà complessa.

    • Come evolve nelle strutture cognitive.

    • Complessità della psicologia dello sviluppo

    • Sviluppo delle misure cognitive in base alle società che circondano l’individuo.

  • Non si può parlare di una persona come struttura scientifica.

    • Sviluppo del linguaggio Madre-Bambino

  • Il linguaggio dell’uomo è cambiato ma la modalità di acquisizione resta sempre la stessa.

  • Ogni ricerca relativa alla persona a livello scientifico è un polo dinamico di conoscenza.

Quando parliamo della persona dobbiamo fare riferimento ad aspetti cognitivi, affettivi, motivazioni e volizioni di un individuo. C’è sicuramente inoltre la permanenza di una soggettività irriducibile nella molteplicità e diversità dei comportamenti e delle situazioni ambientali. Ritengo che relativamente al concetto di formazione e acquisizione dei saperi, si debba indagare su quale sia la base organizzativa delle strutture psichiche, in grado di fondare metodologicamente ogni ricerca inerente la persona come polo dinamico di conoscenza. Ciò comporta un’indagine unitaria della persona che non perda di vista la relazione dinamica fra la molteplicità dei rapporti che la costituiscono. Il punto di vista a parer mio più idoneo per istituire una tale indagine è quello della psicologia dello sviluppo.
La domanda che sta alla base di qualsiasi teoria dello sviluppo è
essenzialmente questa: che cosa si sviluppa? Qual è l’essenza dello sviluppo di ogni essere umano. Qualsiasi ricercatore che tenta di dare una risposta a queste domande, parte più o meno consapevolmente da una sua concezione della natura umana e per capire come i vari fattori entrano a far parte della personalità matura di un individuo, deve attingere dalle singole teorie per formularne una più articolata che tenga conto delle molteplici variabili di sviluppo. E’ necessario un livello di astrazione elevato per orientare tale ricerca in un ambito complesso e interdisciplinare come quello individuato. La mia scelta metodologica verte proprio su quelle teorie, che in quanto compatibili con fattori dinamici di sviluppo, vedono la persona interagire e crescere in rapporto a molteplici realtà. Tali teorie si configurano esse stesse come vere e proprie metodologie di ricerca ( cioè sono formate da una rete di relazioni e strumenti concettuali applicabili al di là dei contenuti specifici a cui sono stati rivolti). Non è quindi mia intenzione fornire contenuti, quanto piuttosto strumenti e prospettive metodologiche per riflettere su queste problematiche.
In un ottica cognitivista una delle più ampie e complete teorie dello sviluppo è quella di Piaget.
Piaget era convinto che l’essenza della natura umana fosse la razionalità e che lo sviluppo fosse definibile in termini logici. “Il bambino è sin dalla nascita uno scienziato in miniatura, il cui scopo è il progressivo sviluppo e la sempre più ampia organizzazione delle sue strutture cognitive, in un sistema logico paragonabile ad un modello matematico1”(Patricia H. Miller, 1983;1992; Piaget, 1962). La conoscenza è filtrata dalle strutture cognitive, che la plasmano rimanendone a loro volta modificate. E’ per questo motivo che ha definito “l’intelligenza come adattamento all’ambiente, un processo di equilibrio tra gli invarianti funzionali2 dell’assimilazione e dell’accomodamento” (Patricia H.Miller, 1983;1992; Piaget, 1962). L’intelligenza è un punto d’arrivo che segna il completamento della personalità adulta. Ma il dinamismo che caratterizza i processi conoscitivi prosegue per tutta la vita.
Pur sostenendo la razionalità dei processi di sviluppo, è altrettanto vero che alla base di quest’ultimi c’è un’ampia base di irrazionalità. Freud ha portato alla luce il concetto d’inconscio. L’uomo è essenzialmente corpo pervaso da pulsioni innate che interagendo con l’ambiente lo spingono a sviluppare strutture psichiche, con una vasta parte emotiva e affettiva, oltre che cognitiva. E’ un interazionista perché le pulsioni derivano dalla natura biologica, ma il modo in cui si esprimono è modificato dall’ambiente. Viene meno il dinamismo interno che fa del soggetto conoscente l’attore principale della propria formazione.
Erikson si allontanò dall’approccio biologico di Freud prendendo in considerazione la grande influenza esercitata dalla società. Contrappose il biologico al culturale e vide lo sviluppo come un superamento continuo di conflitti derivanti da forze opposte.
Fattore dinamico per eccellenza è la società, che sembra incidere indipendentemente dai fattori cognitivi e dagli aspetti neurologici della macchina produttrice di conoscenza che è il nostro cervello.
L’enfasi sulla società è stata messa anche dai teorici dell’apprendimento sociale, i quali sostengono che lo sviluppo procede con l’accumularsi di esperienze e comportamenti specifici. Il pensiero resta ad un livello più superficiale:l’individuo osservando gli eventi esterni è capace di tradurli in forma simbolica astraendone alcuni aspetti. In base ai riferimenti teorici sin qui menzionati, si potrebbe supporre che mentre per l’acquisizione dei concetti logici sia necessaria la presenza di strutture cognitive specifiche, per l’acquisizione di concetti sociali i bambini usino prevalentemente le regole d’interazione sociale condivise.
Manca l’acquisizione di una più ampia base ecologica (che considera l’ambiente in senso sistemico, in tutte le sue manifestazioni) per potenziare tali teorie nel predire il comportamento.

Continua…

1 Il modello matematico viene massimamente evidenziato dalle strutture logico-matematiche applicate al pensiero dalle operazioni concrete e formali
2 L’equilibrazione unifica la teoria, fornendo una funzione regolatoria generale e complessiva
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